Fa novanta
Milano, 21.11.2003
 
Si può morire, è certo, di qualsiasi
cosa, noia, nenia, nella notte
che si muove come un topo,
nero, strano, aspetto di un pensiero,
che si infila in ogni dove
e dove lascia
trova
e dove trova
sguscia
fino al prossimo respiro.
Si può capire allora,
comprendere e aspettare,
di colpo scivolare o a poco a poco
dire a tutti addio, a presto, ci si vede
cordialissimi saluti,
persi o avuti
cestini di natale, il vento, il mare,
e perdere dai pori
l’ultimo pensiero.
Si può decidere
di stare,
di esistere, di fare,
di respirare ancora;
si può contare,
i giorni, i mesi, i compleanni,
si può pensare ai luoghi,
ai visi, alle stagioni,
l’odore, il cibo, i gesti.
Si può,
abbagliare gli anni
con qualche fragile ricordo,
e ricamarci sopra, punto o croce,
delizie del passato o voce
di qualcuno.
Si può,
nascondere la storia
dietro latte di conserva,
pulpiti accademici
che ti mandano a comprare
un chilo di frittura
misto sangue con rivolta,
si può unire, avere o dare
giusto peso
a questo affare,
nella notte consolare
amare, scrivere o pensare,
luce frigo sull’insonnia,
su Milano che non cambia,
domande da sbagliare,
risposte finte da scordare.
Si può,
stare bene, stare male,
stare ad osservare,
quel che accade
con tranquillità assoluta,
in amorosa quiete,
assumere la tattica
del caviale.
Aspettare
il becco azzurro,
pigolare dentro ad un pensiero
anche quando fuori piove
fino a quando il tessuto
si sfilaccia e vola
tra le nubi
e tra le nubi ricucire
un gesto umano
un urlo
silenzioso
e pertanto urlare.
Si può,
nell’assenza, spargere
inutili parole, zoommare sui dolori
dal cervello fino in gola
e poi
sulle lettere soffiare
fare fuoco e non gelare
sotto i ponti del terrore.
E quando il giorno
torna coi suoi impacci
coi dispacci: morti e vivi,
quando bussa
quando fischia
quando in fondo agli occhi
non c’è nulla
non c’è niente,
si ritorna,
si fa finta, non ti devi, preoccupare:
non è successo niente.
“Tutto bene?”
Tutto bene, grazie,
e voi? Ma nessuno che risponde.
E poi si resta
come astratti
trasparenti
come specchi
fino a sera,
fino a notte,
il becco nel dolore
come uccelli
che volano nel cielo
mentre tutto dorme,
che hanno nidi fra i pensieri
dove tornano tra i figli
non avuti,
ripiegati
in qualche frase,
vermi colti nel passato
come cibo un cinguettìo
tenero, lieve, d’improvviso
che s’accende e spegne
il resto,
quando l’alba
imbecille predatore
avvolge tutto e attende,
il luogo, il momento in cui
l’esecuzione della luce
la città perfora
il vuoto
e sgonfia delle cose
la verginità
una mezza voce.

 
Copyright (C) 2003 Riccardo Bagnato [www.bagnato.it]
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