Ferro battuto
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Orvieto, 29.03.2003 | ||
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Ancora qui a domandarsi e a far finta di niente, come se il tempo non costasse per sempre, come se il tempo passato ed il tempo presente non avessero stessa amarezza di sale. Ma forse ricordi quel tratto coperto dai treni? Quella stagione che unisce tutto ciò che sta fermo a tutto ciò che si muove? Tutto ciò che si dice solo ai bordi sterrati della propria città? Alla fine del giorno, della vita che nasce ogni anno per tutti e che per tutti finisce? A pensare al futuro, ognuno guardando ad un pezzo di cielo, conteso dal vento a farci del bene e del male, nel buio, ridendo a cercarsi diversi, guardarsi, contarsi, chiamarmi, seguirti, trovarci e salvarsi, sfiniti nel letto come un'onda nel mare sotto lenzuola a dormire, fino al mondo di nuovo. Io lo ricordo e se ci penso un istante mi domando se il tempo passato non sia come piena di fiume uno stallo perpetuo sullo schermo dei giorni, dei mesi, degli anni. Ma rivoglio quei sogni e quei sordi colloqui in cui entrambi dicevamo di amarci, e rispondo ai colloqui di pace, agli aspetti più lerci della vita in ufficio, dentro a ciò che si muore senza avere o sapere perché, o quel senso crudele e incosciente del diritto ai tuoi sogni fra le mani. Se ci penso però mi risveglio e un qualcosa raccoglie il mio sguardo già perso nell'aria, carezzando i pensieri cogl'occhi, sorrido, ti sfioro, e ripenso a quel tempo, prematura stagione e fatica imprecata. Non so dire se da te ci sia vento stasera, se ogni tanto ti capiti di stare in un luogo dove il sole non è altro che un sasso nel cielo e i tuoi gesti si sprecano invano. Qui tutto riesplode quando il vento riaccende quei suoni tra i rami, e di notte discute la civetta col buio, gli usignoli, ed i treni sono file di luce che passa e non vede e non sente. Sono strappi, gli azzardi, due figure di sale che non dicono niente, e camminano sole dal centro di Modena fino a dentro sé stesse: che poi andavano fuori, con gli amici a parlare e di nuovo a insabbiarsi fra i dubbi per cercarne l'uscita, lontani, avendo dentro di sé il segreto di tutto, ma non il domani. E' una ridicola copia, lo so, di quello che non sappiamo graziare, ed è il colmo dei nomi, è anche un grazie però, un semplice amare le cose perdute, gli oggetti salvati, persone e conchiglie sul mare degli anni. Prima che tutto sparisca, la casa non sia più quella ed il centro un istante nel tempo passato di un lento annaspare nel niente non sia ed io vada, non resti, non possa ancora una volta parlare di noi come i grandi, fra i grandi, i più grandi che invecchiando trattengono tutto e sprigionano gioia in questa stagione ferita. Prima che il vento non smetta fra i tanti ricordi di un tempo a girare, a gonfiare le vele di un mondo passato trascinando ogni cosa nel porto dove una casa, un lavoro, ci aspetta. O la pioggia confonda il destino di nuovo, al contrario si volti, non guardi, si sbagli, e ricordi soltanto il suo primo diritto: fare finta di niente, di noi due soprattutto. |
Copyright (C) 2003 Riccardo Bagnato [www.bagnato.it]
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