Voglio fare il soldato
Milano, 27.03.2003
  “Che la fortuna di un amore
come lo so, che può cambiare
dopo si dice l’ho fatto per fare,
ma era per non morire”

Farò il soldato,
tuo figlio ha detto un giorno
ed io diversamente
ti ho regalato un altro
sorriso che non si può cambiare,
il viso del passato,
il sogno che ho imparato,
cui a memoria bacio il collo e fingo.
Ma è Milano, voce ai fianchi
di chi mostra la bandiera della pace,
mentre il mondo intorno sembra stare
nei silenzi stanchi della sera,
nello spazio fra un minuto
e milioni di centimetri lontani,
che rallentano le grida
di Bassora.

Perché continui a dirti intanto,
non puoi saperlo. Perché scolpire
una porta nel tuo sguardo
vuol dire avere per scalpello un cuore
fermo come dentro il marmo;
sul vetro e gli occhi e intorno al collo,
vuol dire come lime, appoggiarti dolcemente
le labbra di un saluto, e sulla fronte
circondarti di attenzioni e sorteggiare
la risposta senza mai bussare. Vuol dire
ingrassare i cardini del tempo,
oliare il legno antico delle braccia,
e aprire, finalmente aprire
le meraviglie di un pensiero
al mistero delle assenze,
senza inganni e senza colpe,
sul giardino fra quegli alberi già in fiore.

Non ho mai sparso tuttavia
le mie sementi invano.
Dopo tutto questo tempo
non è più il mare un sogno,
ma è sulla spiaggia il mio sorriso,
ed anche se dovrà gridare a lungo
il pescatore fra la rete:
avrà soltanto un urlo.
Non ho mai pensato sia infinito
il mondo, la vita o il giorno.
Al contrario ho aspettato
finisse il novecento per scambiarci
cose nuove come fiori,
raccolte intorno ai nostri amori
in passeggiate in riva al sogno.
Non ho sparato, questo no, ma è certo
ho tifato per il vento,
che inceppasse le armi del nemico.
Ho divorato, questo sì,
non solo le tue spalle, ed aggrappato
fino all’alba all’esperienza più feroce
mi son lasciato andare fino in fondo.
Lì, non ho trovato né un palazzo né vallate,
bensì quello che cercavi:
un falò di mani, la follia del letto
l’embrione adulto
davanti al proprio specchio.
Come una bottiglia mille volte
mi son voltato, ho rotolato
in cerca di una bocca,
ho persino scritto, letto, fatto,
infilato il tutto dentro il mare,
ma è stato, e adesso, amore,
che la porta è quasi intatta,
ricordo tutto.

Sia stato il perché degli occhi,
sia stato perché rimasi solo
tutta notte in riva al mare,
a guardarti andartene e tornare,
d’improvviso volermi e poi dormire,
sarà per questo, o altro ancora,
quello che però non ha ceduto
non siamo stati,
ma è stato, e adesso che ho capito,
che la porta è ancora aperta,
ricordo tutto.

Sia stato il vento e i frangiflutti,
sia stata la tempesta,
su piana bianca fra le dita,
il temporale, l’uragano o il sole del mattino,
sia stato il manto erboso del destino,
o il deserto rosso
di una decisione,
digli che essere un soldato si può
ma piccolo e da latte,
che si ferisce tutt’al più,
per non morire,
si soffre e spesso cresce tutto il resto
intorno a noi, e s’invecchia,
a passi sparsi, con precise parole
di come dire, di alti e bassi
battiti del cuore,
si vive di molte promesse
di mediocri incontri
di fortune raccontate
di risposte inebrianti
di lentissima costruzione.

Perciò non preoccuparti,
immenso è stato il mio piacere:
dirti della Torre di Merlino,
pregare che la tua bellezza
non venisse a reclamare il suo destino,
dove un corpo disegnato,
di spalle quasi addormentato,
giace lungo i suoi capelli,
sperando così che possa
il tempo ed il tuo orgoglio
curare il miracolo che incarni.
Con qualche insidia infine
mi è piaciuto farmi intrappolare
tra versi e traduzioni dentro al cuore
ma è molto bello poter vedere
finalmente
sesamo
questa volta funzionare,
fra i pensieri e i luoghi più semplici
del giorno che non muore.

 
Copyright (C) 2003 Riccardo Bagnato [www.bagnato.it]
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