Canzone del volto
Paris, 13.07.1996
[Milano, marzo 2003]
 
Baciò la sua ragazza come se fosse l’unica,
un peccato a pensarci imparato a memoria,
afono fucile sul viso come un sorriso rapido.
Baciò la sua compagna come se fosse un mantice,
come se il mondo in quell’imbuto scivolasse,
come una frase in un discorso impreciso
impigliata e fradicia nel proprio intuito
venuta alla mente in qualche canzone scomoda
su scale vergini dal cuore al collo al vertice.
Baciò sua moglie come se fosse logico
adottò il silenzio con passo cinico:
inventò un lavoro, uno stipendio, un orario
e non importava se i fantasmi volassero,
non importava se fuori piovesse,
se dentro piangesse, se il viso cambiasse
se il tempo finisse e come finisse.

Baciò la sua donna come se fosse un’aquila
quel giorno in picchiata sfiorando la terra,
in cielo lanciando fra i corvi del tempo
nascose una smorfia sulla soglia dei sensi,
finché rimase solo come se fosse un naufrago.
Baciò sua moglie come se fosse l’alba,
baciò suo figlio come acqua per il tè
a mezzogiorno mangiò pane e sorrise invano.
A sera abbracciava sua moglie sul divano
impigliato tra le labbra come se nulla fosse:
che a mezzanotte lo soffocavano di baci
a notte fonda lo soffocavano di pianti
a forma d’un forse come se fosse chiaro,
finché baciò sua moglie al gusto di mozzicone
come se fosse l’ultimo, quasi capisse l’incubo.

Baciò un’amante come se fosse un passero,
volò segreto fra nidi scomodi,
e quando nulla rimase, rimase pallido
nel suo girare fra la notte e il buio;
perdeva sangue come se fosse un rantolo
in quel galleggiare sull’invisibile
quel masticare rivoltoso e impavido.
Baciò altre amanti come se fosse un’orgia
quel suo ratto fuggire, sgambettante e bipede
fra l’inconsistenza e il niente,
gelatina di femmine, casbah di bambole.
Attraversò quelle emozioni comode,
quell’urlo atroce finché fu irraggiungibile
e finì nel cielo il suo grido ultimo.

Al mattino tornò al lavoro rapido
attraversò la strada con passo debole,
salì l’impalcatura come fosse un baratro,
lavorò per ore come se fosse un obbligo
mischiò ai mattoni cemento e lacrime
scrutando il mondo in quel disegno magico;
mangiò qualcosa come se avesse il vomito,
bevve il vino come se fosse un naufrago,
e si lanciò come se fosse un albatros:
volò per ore come se fosse Pègaso
finalmente libero in quell’aria satura.

Una folla accorse, come se fosse Icaro
stette a guardare quell’uomo nel cielo pallido;
punti fermi a seguire scettici
sotto quel volo di rabbia e trappole.
Voltò per il sole come se fosse un re,
virò tra le nuvole fino alla gola limpida,
l’azzurro placido mentre cadde in terra
come se fosse lacrima.
Morì in contromano ostacolando il traffico
e si spaccò il suo grido forando l’auditel:
agonizzò nel mezzo del passaggio pubblico,
ammutolito sul catrame flaccido,
ma rimase sul viso quel sorriso e vivido
sommesso dialogo imparato in cielo.
Alzarono gl’occhi come se fosse ancora
fra i pensieri di Dio un pensiero tragico:
ma voleva sfuggire soltanto alla pressa
dei secoli,
dissero.

 
Copyright (C) 2003 Riccardo Bagnato [www.bagnato.it]
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