Pater
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Milano, 14.02.2003 | ||
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Padre nostro che sei nei cieli, con le rondini ed i missili, fra le nuvole e le grida, fra inconsolabili singhiozzi che non abbiamo confortato, che non abbiamo mai voluto comprendere, o che non siamo stati in grado di raggiungere. Miserere di noi Signore dal fondo del tuo sguardo, senza palpebre e gli occhi fissi sui tuoi figli, sui tuoi dubbi, sulle foreste senza più colore, sugli oceani a più corsie, sulla polvere, la vergogna, e le montagne abbandonate, sui popoli e le speranze trascinati sopra un filo dentro il sangue come acrobati innocenti o pensieri astratti nella testa astuta del dolore. Dal cielo attraversando l’Universo le diagonali aguzze, le ambizioni, i discorsi acuti della patria, gli sciami intelligenti di parole di organismi, appelli e petizioni, le sottili scuse della polis, l'arroganza, gli scrupoli, il disprezzo le tattiche dei potenti, allunga le mani, abbraccia il mondo le vocali del dolore, e dacci oggi il nostro pane quotidiano, il perdono, prima che io dimentichi la tua volontà e la mia che domina accende e duplica la speranza di vederti e dirti, perché? E la tua risposta non sia sacra, intrattabile, twisted by the human tongue, smooth and curled ma la voce del mio cuore. Ti sei fatto uomo e capirai ciò che passa per la testa, il male nascosto nell'ennesimo olocausto fra le abitudini e il destino, quando brucia nella gola e scorre in pochi istanti dai piani alti del cervello fino al culo della storia, per svanire fra le dita raccolte intorno al volto dell’umanità la vita eterna. Noi, abbiamo gassato gli Ebrei, affrontato i cieli su New-York, ucciso i Curdi, bombardato gli Arabi, mentre imploravano pietà abbiamo violato i tuoi bambini, le mine antiuomo le troverai sepolte nel giardino sotto i mormorii di ieri. Noi, non abbiamo pianto sulla sedia mentre accendevano le luci di Natale e milioni di persone contavano la fine. Abbiamo pregato invece ad alta voce che il tuo regno non avesse questo odore caldo, putrescente e universale, negli occhi il sangue e i suoi confini non venissero decisi da un bagliore. E invece. Tutto è stato come prima. Siamo noi i campi di concentramento, siamo noi, tuoi figli, gli assassini, l'aria rotta che attraversa il muro come un fischio che marcisce sulla bocca prima di raggiungere l'al di là e di già commenta la tragedia dei saluti, scusi tanto, non volevo, il mio il tuo spazio psicologico, il loro amplesso lungo i muri ed oltre le frontiere. Carezze oscure sulla fronte, sinfoniche e feline della vita o di quanto resta in mano all'estremo opposto del risveglio mattutino fino in fondo al corridoio dei dolori. A piedi nudi fra i pensieri quando, pronto agli angoli un sorriso, taglia in due parole e briciole contese da un discorso ormai rappreso e inducono tutto ciò che l'uomo non conosce in tentazione, ma liberaci, liberaci da ciò che non esiste, dal male che facciamo dalla voglia di volere dalla scure di parole dalla pace ingiusta, dall'accumularsi di rumori da questo desiderio infame di salvarci ad uno ad uno, per sesso, razza, o condizione, dal gelo in cui il tempo archivia ciò che è sempre stato ciò che non ci è dato e che pertanto non potrà cambiare, dalla verità che ci divora e ci consola a fine pasto. Liberaci, o Signore, dall’agguato, ora e nell'ora della nostra fine. Amen. |
Copyright (C) 2003 Riccardo Bagnato [www.bagnato.it]
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