La speranza
Modena, 28.12.2002
 
Anima mia, cosa resta dei tuoi consigli,
ora che l'ombra del tempo non rallenta, e scivola via?
Ora che ogni speranza è in fondo al cuore?
Tu, che ogni giorno sedevi sul bordo dei pensieri
dove adesso il vento abbandona il mio dolore?

Come una goccia sospesa sul verde sguardo
delle foglie e fino ai margini, nel giardino,
più volte guardandomi hai giurato, hai spinto la tua voce,
nel buio, fra le stelle e il silenzio di ogni cosa
aspettando fino al mattino, per ripetermi “ti amo”.

Ora che la tua assenza sarà la sola compagnia,
cosa debbo attendere che accada ancora?
Ancora incerto se restare qui, fra le rovine,
ricominciare, fuggire, oppure andarmene lontano
verso il termine, e di lassù giurare ancora.

Dove sei? Ti ho cercata fra le rose e nella serra,
dentro casa, e in cielo fra le nuvole del giorno,
fra le stelle, le montagne, oltre le lacrime ogni notte.
Dimmi dove, cosa ti è successo, che stai bene,
che un giorno tornerai, e che quel giorno è già domani.

E non sapere in fondo al cuore e non vedere più
i miei sogni ripetere ogni notte ogni cosa tra gli affanni,
quando viene la Luna e mi domanda della fine,
quando il Sole risplende e non so più dove partire,
quando tutto sembra avere un tempo per vivere e morire.

Quando il peso di un ricordo incombe fra le lacrime
e voler tornare indietro, sui miei passi, purtroppo è ancora
troppo forte, e pace non può trovare
nel sapere che il futuro è immenso e triste,
che bisogna prendere coraggio, partire per un viaggio.

Cieco, come un animale che dal fondo della Terra
circondato dal suo corpo solamente, dalle pietre e le radici,
sposta con le mani tutto ciò che trova sul cammino
e dietro, con pazienza, lentamente a sé lo mette
verso il caldo di una dura superficie, fino quando il sole sorge.

Per andare incontro a sofferenze, a perdite infinite,
e più saranno infami e più in alto dovere salire,
e alzarsi un giorno fra gli uomini e sorridere, o se potrò,
cantare ancora d’altri errori, altri luoghi, comuni al mondo
che ogni essere mortale compie ed evita spostando il tempo.

Che senso ha dunque, privi del tuo sguardo,
il nero della terra e il rosso del mio sangue fra le unghie,
come topi, come vermi, scavare fra il buio e la speranza
senza che un tuo cenno possa almeno dirci in quale direzione
è giusto andare, e il perché di questo buffo inganno?

Così soltanto posso dire, e cedere al mio orgoglio,
consegnando a una parola che un fanciullo possa usare,
riesco ancora a spingere il mio corpo fra le aiuole
e nascondermi nell'ombra e fra i cespugli, in esilio mio malgrado,
io, che sulla superficie ho il privilegio di sfuggire al mio destino.

A fingere fra i tanti esseri mortali e scaltri
che imitano di giorno il sole, le stelle nella notte, il mattino all'alba,
che al tramonto affollano i cunicoli del mondo
sperando d'essere tornati, fosse solo per un solo istante,
nella terra, in cui strisciare, e rinascere senza vergognarsi.

Cosa resta? Ora che al mattino il vento e le nuvole nel cielo
e il sole brucia l’aria, e un corpo nello stagno resta immobile,
e uccide il tempo sotto il fango
tutto ciò che non riesce più a sfuggire,
tutto ciò che non può più raggiungere l’eterno,
tutto ciò che nella Terra ha faticato a vivere
e insieme alla propria solitudine lotta per morire?

 
Copyright (C) 2003 Riccardo Bagnato [www.bagnato.it]
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