L'acqua | ||
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Questo specchio posato quasi a caso, quest’immobile lentissimo andamento, questo procedere nel mondo a stento che imprigiona il vuoto nelle sue cadenze. Questa materia che soave abbraccia al di là dell'orizzonte il cielo, questo silenzio di forme e suoni che sfiora il nulla e quasi lo racconta. Quest’anima crudele e trasparente, che raggiunge la nostra piccola esperienza, bagnando la pelle, di cui son fatti i sogni, sospingendo sulla spiaggia i dubbi. Che bacia le labbra dei ricordi svegliandoli da quel torpore immenso, in cui ci addormentiamo senza parole ma con il caldo intorno al cuore. Questa vertigine salata e putrida ai bordi dei sospetti di una volta, la cui carezza sulle mani lascia in noi la vita che si fa scorza. Queste fantasie disegnate dal vento, sotto catastrofi di secoli e marcescenti sorrisi fra le onde e nello sguardo, di tempeste che verranno a prelevarci. Questo grido eterno che risale dai fondali fin dentro all’universo, questo verso multiforme che ci ascolta fino a strapparci l'ultimo pensiero. Questo ventre immenso di seta e sale che ad occhi chiusi pervade il suono, per ritornare fra le ombre sulla sabbia in questo mondo senza perdono. Questo tabernacolo di speranze in cui le sirene non hanno più segreti, ma custodiscono dei secoli le lacrime, il loro tempo fra i capelli e i flutti. In fondo al quale Dio si è trasferito e se ne sta seduto su di un mistero ad ascoltare alzarsi fino in cielo aprir la bocca il mondo per l’ultima preghiera. Un grido preciso che libera sé stesso, la pioggia dei giorni, fino alla fine, fra i torti piegati nel pianto di una sera, abbandonata in riva all'infinito. Questa ambizione silenziosa, prestata per un attimo alla terra, imprigionata, che scende, nel cervello fino ad inondare ogni pensiero. Fino a quello più vicino alla tua foce sconosciuto mulinello di piaceri in cui il vapore di parole antiche afferra le labbra di un abisso prima di parlare. Queste budella di vento e solitudine, al collo di un precipizio immondo, sotto la superficie, e il blu delle speranze, in cui si muove il rumore della fine. Questa musica terrena ed infinita sotto i piedi e dentro le ultime menzogne, inconsolabili certezze umane, che parla con la voce di chi ha detto. Ascolta quest’abitudine liturgica che rinnova il passaporto ai morti, senza sapere sarebbero arrivati un giorno sul bagnasciuga di un piccolo scrittore. Questo innocente dialogo fra stanze, dove finisce e ricomincia il desiderio, dove naviga il pensiero di un bambino, una barchetta di carta in pieno oceano. Piegata come dopo la tempesta, trascinata nel destino come carne lacerata che nelle grida ha urlato all’acqua, la sua brevissima violenza. |
Milano, 07-09-2002
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Riccardo Bagnato [www.bagnato.it]
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