Lavacro
Modena, 01-02-1996
 
Non ho visto il tonfo sordo
commosso e secco, ma soltanto di parole:
incaponirsi un emistichio
sulla scena madre di un abisso,
l’arricciarsi della vena
su una roccia mortalmente ad aspettare
il passero e poi l’upupa ed il falco
pasticciare le interiora retoriche e dolenti
del mio secolo pronto al termine
a raggiungere la storia;
inanellarsi, a stringere la parola
da ogni lato incasellandosi fra i grandi
classici riordini e terribili
che fanno meno imbarazzante il vivere
la nostra solitudine:
non mancherà di certo il merlo, né l’equivoco
plumbeoargenteo buio fino a che sarà
vuoto il ventre, affusolato il nulla, inevitabilmente:
abbandonata in questa bolla, piombata e lucida
fra i pensieri a specchio ultimi a morire;
ma posso immaginarli pressati all’orizzonte
di una risma, di un corpo spezzare la parola
squadrata e sottile d’una pagina
senza lasciare
traccia alcuna di sangue o bile.
E così à nouveau ferire.

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