"Batti, batti, o bel Masetto... | ||
Modena, 01-10-1995 |
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Che questo pensiero moltiplichi quelli scorsi quelli che fioriranno e cadranno, comunque; sicché la Morte, oltre che vivi ci trovi ricchi; trovi un cardinale patrimonio, e si vergogni di quanto fa quando a lei pensiamo, Ragione, mio solo estimatore, unico pubblico e pietoso e clemente. Come dalla pianura dipinto, un albero pare radice fuoriesce e vuoto è il mondo quando rivolto a nostri piedi nasce; così che, sia albero o universo, verso noi cresce il manto, di questo autunno intessuto. Ma non ci è dato alzarci in fondo nel cuore delle ondeggianti figure nel mare di quelle lente premure e vapori e nebbia che il cielo fanno più intimo col pensiero. E si divide e ramifica l’aria in mille rivoli di lignee passioni sfarina l’aria sotto il mio nome e si sfilaccia il busto si dipana e si dilatano mille larghezze, e resta sempre più ogni pensiero e di questo ogni rivolo assai più piccolo pur soffice pesa pur secco sta. Come strato di fredda polvere il silenzio il gelo, come aria che pesa sui rivoli riposa e nella pianura che conosco il nulla si fa vero e chiaro è il disegno che squallido universo ad amaca diviene angelica farfalla e immondo verme: impari battaglia e lenta tra due famiglie d’opposta origine, fra l’aristocratica mitezza celeste che il tempo ha alle spalle e le terrene speranze borghesi della morte uniche misure: fosse il tutto avvertimento di una madre col suo volto e la sua caduta. Il cristallo, per rigido intendere la vita, è il soffio, un inganno muoversi, uno strappo. Come strano sono. Stanco di non vedervi ancora lento opale elegante di luce di giovani pensieri divine età non so decidervi così dolci e piccine tanto apparite a me che pure non vi vedo. Qua una rosa con un solo vestito e sull’albero gemme fiorite ferite di tronco che chiedono il forse: so che tengo il cuore ammirando l’infinito sole e l’ombra che qui s’avvisa più in là mirando. E` fertile questa terra che nutre? Aria questa che maschera? Sole questa prima luce e vero questo sguardo celeste? E il pianto lo chiamo ancora in ritirata sugli errori in picchiata nel cuore? Questi i rami più alti che assaltano l’ultimo confine terrestre, più giovani sfiorano, perforano, sfiorisce l’illusione: del più giusto colore dell’anima. Con me stanno cose per cui essere leggere come nuvole in fiore la vita un giorno che abbiamo perduto. Ed ora voi state con questo pensiero ornando il silenzioso abisso, io coprendo senza più riflettere qui: la monotona via del canto, e ancora si apre la chioma che non è fusto retto quella si allarga e s’abbandona folta a nuova spinta che non lo abbraccia, che vive e basta, finché gl’umori del cielo donde le ondeggianti e lentissime ci controllano, scaricano il tuono a cui segue l’inganno rumore delle fiamme. Fiamme, fiamme, si ripete a memoria lo stesso giorno, la stessa ombra. Il dolore semplifica il mio sogno. Piove stasera la notte d’ogni cavo celeste come parlasse d’allora, dall’una a quante voci anguille perforano il buio e percorrono l’empio fiume le stille, confessando la sorgente. Presto sarà quell’aria sensuale acre che a noi piace, diciamo - pulita -: si fosse da tempo, per tocchi perduti e fini col di lei clitoride giocato; in questa immensa età giovanile svanire da sole le braccia dell’alba ho visto il bianco del mondo su cui cala la vita e si ritrova abbracciare. Ricordo gli attimi di quei perduti nervosi occhi di lacrime a migliaia sfiorare più giù il tessuto del mondo e come lievito esso bagnarsi e bagnato pensare. |
Copyright (C) 2001 Riccardo Bagnato [www.bagnato.it]
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