Va', non temere... | ||
Strasbourg, 30-11-1996 |
||
|
||
Spesso dal cuore inseguendo un fagotto di ricordi nel mio collo ho ascoltato la voce col suo ritmo del lamento, le note in cui presto ha ben vibrato nell’altezza una vergogna precisa come un soffio lento ed umiliante d’un nuovo giorno colto tardi; ore e ore di sogni lanciati dal luogo più inutile, ripiombati sul lago del mio corpo lapidato così all’ombra sua e più antica contando le frasi che sarei voluto essere: senza aver mai chiuso le mani intorno al viso in pianto delle tue domande. E` d’un freddo invece abbraccio di nuvole, amare, di sospiri, di nuove più belle parole disegni nella memoria, che ti guardo invisibile del sogno, ti allontano allontanando il tempo degli attimi che mancano alla pioggia al peso del cielo cui non rinuncia pur bagnando per scendere e pasticciarmi il respiro m’arrendo. Dentro a quelle che si gonfiano in gola che strozzano la vita, col coraggio dovuto per scansarla guardando più in là di esse, di me perdendo nel loro corridoio che s’alza come un sorriso fra i morti arrabbiandosi sugli scogli, le ombre sulle spalle dell’orizzonte, dietro una sigaretta. Ci ho messo parecchio per strozzarle nella luce breve di un lampo, che tutto ciò di cui parlo s’annebbia e si spande fra le mani, per qualche istante ancora, però aspetta, questa piacevole pellicola d’incertezze che illude che sgridano girando sullo schermo dei miei occhi pesti di amante: oggi è però diverso si gonfia il tempo del silenzio scafandro del cuore e di gentil quiete olezza dietro al viso s’arrampica sui ricordi come un popolo di muti ragni, la speranza un altro atroce in fondo al mio cervello, ma io non vedo e proseguo come un paesaggio. Osservo la bravura dei graffi della mia voce: “Perché non ci muoviamo? Il suono è sempre l’orizzonte che gratta la scorza del giorno, di me; e i pensieri sono una bussola ormai infedele come una canzone crudele e astuta.” e tu. Lontano. Un secondo, sebbene un secondo soltanto sei la cifra delle voci, semplici, che montano agl’occhi che contano, per me più che mai ora che qui non riesco a passare indifferente sulla vita. E pattina l’anima ghiacciata, su se stessa in un gomitolo in cui mi assale di notte il cuore di questa voglia di piangere per tutti gli spifferi del passato. Di rivedere dietro ai ricordi se ho lasciato il gas aperto. D’infilarmi il tuo corpo e la sua gloria nelle bozze del buon umore, immergermi nell’acqua che dorme, corrermi dietro e dentro dopo tutte le volte, nel mese di marzo il più tenero, una stella mia bella, duchessa, accordando parole e distillate da una fuga che si è staccata da terra scimmiottando il vento: “Un concerto di allegorie amorose ti do un gelido di schiuma abbraccio di lana di re, rimasto sì, sul trono bemolle dell’anima a suonarmi distrattamente il cielo in pantofole nel cuore e allora svegliami se puoi.” Se questa parola che cerco sfiorerà il tuo nome col coraggio dei colori e non in bianco e nero come spesso accade alle domande lasciate come donne deglutite in questi angoli francesi, senza nemmeno un dolce non so che in un valzer di vetri verdi su cui cammina, del sogno ti darò il sorriso a cui hanno lasciato nel silenzio dello specchio un volto; allora, forse meraviglierò questo travolto sudario queste facce sveglie per bianche che siano e per immaginare in mancanza sulla tonalità giusta che turbina nel lontano angolo della tela, e del pittore di ciò che non trovo ciò che ho raccolto. Ma è abbastanza svegliarmi la noia dalla pioggia che ho addosso perché duri come una samba sul tatto della mia fantasia, quella sua danza, bella e semplice come un nome; mantenere la nota allora come ricamando una trapunta di nebbia con cui riscaldo il mondo interno per non perdermi nell’interrogatorio: “l’ho incontrata per caso: un viso enorme e grigio; sa, non sapeva del Nord, che è fatto di spifferi come la gelosia: di verità che serrano un occhio spesso e sognano per metà la metà che è in noi. Poi è sparita come l’antichità, mentre ancora si poggia sulle spalle con una lettera d’amore una farfalla poggiata sul fiato e una rete di tramonti al di qua della luna; sì, sì, lo giuro, divinamente qui!” E mi ripeto e mi convinco sotto il mio nome, dei ricordi sulla schiuma che sorride e piange e talvolta senza assoli, dei pensieri con le gambe appese, attese inserite alla spina e poi e poi mi allaccio ad una musica che non avrei mai ballata, in un crescendo fra le gambe va ad intenerirsi questo dolore, mazurca di madames, stanze danzanti in riva al cuore, che scuote il morso del fioco n’est-ce pas. Una tenera lama di zucchero filato intorno alla faccia che porto con nostalgia sentendo cose strane, cosa sono, perduto, dove oggi oso dire di aver visto il giorno su cui ora navigo: tre file avanti il mondo gira scosso e levigato disinvolto sciacqua le immagini di cui m’impasto: cenere di un porta sigarette contorte come fachiri spenti e tristi a testa in giù, paurosi giullari, struzzi inceneriti fra le foschie d’un dentro afoso e spazio che stringe un pugno di pensieri allo stomaco. Riderei anch’io, e rido poiché tenera è la vita, così capirei, e capisco. Ma. Cosa avrà scritto il tuo cuore che non possa sapere; così è facile stanare l’orgoglio dell’uomo a yo-yo fra una donna e la stessa. Cosa avrà scritto il tuo cuore che non possa immaginare: una tragedia in due atti il tuo e il mio un racconto epistolare scrivere e leggere e guardare i cigni, una contrada di parole mai viste: “Toh, una poesia! Guarda quella strana metafora sul nostro amore.” E quei vestiti e quei ricordi poi.. ricoperti di ricordi ancora soffocano la frase che come una poesia risuona del colpo sulle sbarre. Ti ho disegnato i mille tempi morti che ho contato, fra le pieghe fra singola parola e immagine assonnata d’un pensiero, qualche volta sei lievitata sebbene a slalom fra quelle volte invece in cui ti ho più spesso persa. Altre volte sei d’incanto in paradiso la mia, una ferita d’orgoglio ben vibrato in contrattempo da ricucire un furto con garbo a maglie larghe in testa dove le strade dello svago però non corrono, io non parlo sdraiato sul foglio ho brevettato una passeggiata, perduto e perso e talvolta qualcosa per cui servono i tuoi occhi, e ne parlerò: “..ho bisogno di un cielo per trovare un golfo come calamita che non lasci più andare il mare nelle ore sue più basse.” Ci sbagliavamo sulle promesse. La tua lettera non è qui, con me se parlo, è per non trovarmi lontano dalla tua lanterna che abbandona passando ombre lasciate a pizzicare la notte dell’anima; donna struccata che hai voluto stanare le smorfie del mio amore: come dopo una chiacchierata pallida sul viso del disgusto immenso per caso, fra i suoi lacci. Questa melodia mi tocca il cuore come si guarda l’oceano come l’inverno guarda la neve con la mania di fare pulito, come il conversare a spintoni in mezzo al nulla; come allora, ora, il migliore lento gesto, questo tuo galantuomo, lo fa scivolare distratto come un tradimento, qualsiasi altra apparenza farebbe altrettanto in tre passi di danza di una stanza, appesa al cielo. Ma non parliamone più, qui fra questi punti di pioggia che scendono e che prendono gli applausi solo nei teatri. Ma già che si parla di questo o quella è ancora, il mio, un cuore in cui vivi o un volo di errori? Non posso, ma ho cercato tutte le realtà del tuo per contro, esserle di spinta dal trampolino su cui ho finito il cielo come un suono piombando sordo ai tuoi passatempi m’infrango dove sento per la prima volta la voce del resto che viene sempre da sé costruendomi una tradizione di cui sei la Grecia Antica. Poi la notte, al destino del buio mi appoggio a queste capriole che rincorrono senza capire come note bianche e non crome in un largo talora grave ciondolare di frasi e di parole senza uomini né trame coi volti scoperti dei sospiri infradiciandomi semplice e nudo del sapore che vivo nei rigiri e rigiri di sensati e insensati acquitrini sul mio nome sotto al quale sto a contare i denti ai francobolli delle lettere non spedite. Allungando le mie mani dentro al luogo, scuro e antico dove file di pensieri sotto un cielo monumento impiccati ai miei ricordi se ne va un cielo ancor più vasto. |
Copyright (C) 2001 Riccardo Bagnato [www.bagnato.it]
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità
sono permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che questa nota sia riprodotta.
|