L’ultima solitudine | ||
Berlin, 04-12-1998 |
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E sarebbe interessante e sarebbe struggente venire a sapere dalle voci oblique della tua morte. Ho fatto incerto un incubo che si è confuso dei rumori di un’abitudine, e ce ne sarebbe da dire dei rapporti fra il Mosé di Schönberg e Freud, che non dubito sia stato detto di già, così come si puote; sì, sarebbe emozionante scoprirvi un ritorno inesistente, ma tant’è, sono qui e non vedo niente. Non vedo il motivo i colori dell’estate, di un’estate la cui sabbia in un angolo coi capelli sulla fronte puzza, cemento, e non ama più. In questa città me voilà, indifferente e piove. In questo tailleur notturno al centro del giudizio di questo secolo, non vedo il suo motivo, che muore, fa quel che vuole, quando dorme il tempo. Non vedo e son contento. La notte è di nuovo amica da quando l’ho riverniciata da quando le grida avvinghiate ai perché, ai certo, sì, no, con gli artigli fra le dita e il vuoto aperto e gli occhi dolcemente dalle lacrime come farebbe l’ultima solitudine con il senso di una vita sono in fondo graffi malati. Come l’ultimo sorso dal fondo di una canzone, in un bar nella notte che balbetta e addita nella casbah, meserie all’ultimo prezzo. Un’atmosfera che pare commossa da se stessa, come una luna inutilmente perduta nella memoria nelle sue onde dopo il tramonto. Che bisogno c’è di piangere a riva, fra i ricordi, sulla sabbia? Quando tornerebbe utilissimo invece dimenticare di essere stati sequestrati. Non ci si può vantare di ciò: di ciò che si è, semmai delle scelte, e poi so già cosa mi dirai: “ma non è la stessa cosa?” No, e te ne accorgerai, per ora riposa nel tuo stato nel tuo stare stante ogni tentativo e gonfia di tutto ciò che vuoi scordare di tutto ciò che ricorderai. |
Copyright (C) 2001 Riccardo Bagnato [www.bagnato.it]
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