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Al di sopra della porta sull'ingresso del nostro attuale domicilio una mitraglia, è ciò che abbiamo messo così da fulminare chiunque voglia superare quella soglia. Abbiamo allontanato tutto il possibile fatto un mucchio di cadaveri e ricordi avvolti in spiegazioni e salutato il nostro agire senza più voltarci. Altrove non ci è possibile più andare, è già difficile capire in questo stato dove cadrà il fulmine, dove inizia il bosco e dove ha fine la città, per intraprendere un cammino. Un mitragliatore! Questo sì, e inventarsi una lingua di parole impossibili a sentirsi, che negli anni possa diventare invalicabile, e finalmente scontrarsi con sé stessi foss'anche al buio del dolore, nel vuoto e fondo baratro del nulla rimanere. In cui tutto poi riaffiora, ma per fortuna meno nitido e non più per noia, ma per un numero maggiore d’imprudenze, che lacerano e fagocitano l'augurio di qualcosa. Sul campo incolto la speranza di una vita riappare intanto fra gli aratri e taglia e spezza le lamine del sole e ci commuove. Si riannoda alla terra nella polvere aspettando la primavera, e tutto attende i primi spari del cacciatore. |
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(Milano, 21-02-2002) | |||
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