L’ultima solitudine | ||
Milano, 19-09-2000 | ||
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Solo in queste impossibili abitudini senili m’accorgo che il mondo esiste, triste, fra i suoi elementi. E penso al vano insistere dell’uomo che tutto intende che tutto sa sconvolgere e sorpreso rimonta e stronca ogni ricordo dal suo collante infantile fino a cogliere il tuo sguardo come un fiore di mattino. Che processa e scorticando inquadra le cause passeggere del vivere soltanto fra le cose. Perché morire anzitempo allora? Mi domando. Fingendo di raggiungere uno sguardo, il mondo? E sulla scena avanzare. Solo in questi affetti la memoria si riposa e fra ogni cosa si ritrova vacillare per quel poco che ci basta, passeggiare fra i giorni rattrappiti e qualche frase ripetuta antica, starmene a guardare una ragazza incapace ancora di capire perché un vecchio ha osato tanto ma per questo rimanere. Solo in questa parte del mio cuore si ritira e si riposa il mondo comprimendo le forze trasparenti e la feroce causa si rinnova. Nel ventre di un’immobile ingiustizia cresce sotto vuoto spinto, e il corpo spinge e si divora lo spazio e il tempo, per frastornarci il labbro di parole adulte e fragili come rose nel roseto. Solo quando il mondo si rabbuia e non muove più lo sguardo il tempo, posando su quel ventre mi rattristo pensando a certe cose e poi ascoltando il vuoto flettersi impossibile e il passato attrito inutile e indelebile passare. E muoversi è un strappo, la fine un gesto. Che frenetica risvolta il guanto delle scelte e dimostra al resto la prova e il fallimento. Solo in queste abilissime fandonie mi domando perché morire? Fingendo di raggiungere il motivo o peggio ancora sorprenderne l’astuzia mercantile che avanza, e processa e innalza e affonda le uniche speranze del vivere civile? Perché morire? Solo a questo punto ti posso confessare e ti confesso non più lo stesso gracile segreto che hai cercato, il labile scontorno di un errore che hai trovato, bensì il tragico difetto e cioè pensare a te come a me stesso. |