Presso un lago
idillio
 
 
Sono stato in luoghi silenziosi come a fianco
di una cosa che non fa male mentre si consuma,
a sbirciare il mondo dalle serrature del tempo e nel vento
che passando ha deposto a riva il suo segreto,
ho seguito le onde ai piedi di un essere immortale.
Giù, fino in fondo al più profondo nascondersi in un bosco
e poi su, fin dove guardano gli occhi di un bambino
ho indugiato fra le voci oblique ed ho imparato
come quelle inseguono il silenzio e col destino
come giocano i pensieri, con l’uomo i giorni, le notti i sogni.
Ho amato sopra il muschio strisciando come una lumaca,
fra il cuore e la paura e il non sapere dove il nulla
tra le foglie, sugli alberi, è un sussurro ed un sorriso
una bestemmia di un dio inchinata sul mio viso.
Ho danzato e ballato al ritmo di un ruscello
nel caldo ventre amaro e molle estivo
movimento di una nuvola senza forma, e armato
col tempo di ieri e il senno di poi il mio cervello,
ho odiato il tempo e il suo andarsene di giorno
a fare il mio contrario sul palcoscenico del mondo.
Quando ero il vento nel sottobosco mi spingevo,
allora fra le rime di un mistero cercavo nella notte,
gemere nel fuoco intorno a un gesto alzatosi per caso,
il punto esatto in cui qualcuno intonava una canzone
e un dolce non so che si univa al coro.
Quando ero il cervo e il falco controllavo dalla cima
la valle carezzare nella nebbia tra i profumi universali
la paura di una preda o il segreto di un agguato,
aspettando dietro al tempo il momento del duello.
D’estate e in primavera costeggiavo la pianura
come un’indolente insenatura sull’orlo di un tramonto
sorseggia l’acqua di un anfratto aspettando nuovi amanti,
quando il dì boccheggia e una barca lentamente
nel silenzio di un pensiero ormeggia, e lì
il palpito del cuore in qualche frase o un bacio insinua.
Quando ero vecchio e stanco raccoglievo
la legna che spezzava ad una ad una le mie ossa
ripetendo come dopo tanto amore non bastasse
il cielo stretto fra le braccia, o il lento rifiorire
della luna come dal passato nella notte e piena.
Quando ero giovane cacciavo via la noia col pensiero
bastava che dicessi a bassa voce o la pregassi
di scusarsi con cui la fretta o il destino la spintona
nei miei occhi di cerbiatto, di civetta o di fagiano.
Quando ero tutti i sogni, è vero, a volte confondevo
l’amore con il tutto, facendomi più grande fino al cielo
e mi sognavo di restarmene in disparte.
Per i boschi seminare odori come fa il serpente
scivolando lungo i tronchi e nelle siepi e fra i faggeti,
felice come un lupo nel lago di un tramonto
immergermi giocando e non sentire l’urlo del padrone.
Quando ero la solitudine dei giorni persi a ripensare
al tempo che rimane, sentendo avanzare lentamente
la marea bagnandomi di nomi conosciuti i piedi,
e il cuore, come una foglia s’abbandona all’acqua,
aspettavo il temporale per non piangere da solo,
e il vento che agitasse i miei capelli, i tuoni e i lampi.
Quasi fosse questa fune di aghi e petali di Dio
giunta per andarmene fuori da ogni cosa, alla pioggia
goccia dopo goccia mi tenevo stretto ed afferravo
le mani della sera, e mentre mi stringevo in quel abbraccio,
tutto intorno era ciò cui non volevo più far male.
Come uno scoiattolo sui rami lungo il filo dei pensieri
quando era il sole e il rumore di un tuo gesto
fra gli arbusti mi chiamava e di nuovo aprivo gli occhi
e la paura non c’era più, c’era il bosco e c’eri tu.
Milano, 22-05-2002
Copyright (C) 2002 Riccardo Bagnato [www.bagnato.it]
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità
sono permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che questa nota sia riprodotta.